di Giorgia Calò
La ricerca artistica di Mauro Bellucci, cominciata negli anni Novanta, parte da un’analisi dell’uso delle tecnologie applicate all’arte contemporanea. Un gioco di interazioni e contaminazioni che ha dato vita ad affascinanti opere, in cui l’artista ha impiegato materiali vari quali i cd e le loro custodie, applicati direttamente sulla tela. Sono immagini ibride, esseri umani robotizzati ai quali molto devono le ultime creature nate dalla mano fervida di bellocci, e presentata in questa occasione.
Volti
Le tele di Mauro Bellucci sono ritratti acquisiti dal medium televisivo e dai cartelloni pubblicitari. Sono opere “partorite” dall’uso e dal consumo che fa l’artista dei linguaggi di comunicazione di massa. Sono volti dal taglio fotografico, decontestualizzati da qualsiasi tipo d’azione o movimento che possa riallacciarli alla realtà. Ciò che ne rimane è essenzialmente lo sguardo che tende a “cannibalizzare” il resto della scenografia. Occhi molto grandi, dall’espressione drammaticamente intensa e seria, magnetizzano l’attenzione dello spettatore, assumendo così un atteggiamento voyeuristico in cui è l’immagine a “spirare”. C’è quindi un rovesciamento delle parti che tende a destabilizzare il ruoli convenzionalmente acquisito dal pubblico: guardare senza sentire l’imbarazzo di essere guardato. Ciò lo dimostra anche il fatto che i volti appaiono sulla tela di tre quarti o per metà, quasi a volersi nascondere per vedere meglio senza essere visti, o forse per la paura e l’insicurezza di apparire e scoprire di non essere accettati.
In una sinteticità tale, dove solo il viso viene rappresentato, Bellucci mette in risalto alcune parti fisionomiche: gli occhi (spesso spalancati in un’espressione impaurita), le orecchie (a volte addirittura mancano, lasciando dei “buchi” sul volto del personaggio che stanno ad indicarne il senso d’alienazione), la bocca (leggermente socchiusa o forzatamente serrata), il naso (visto da uno scorcio che ne mette in risalto le narici).
In alcune opere l’artista introduce anche un’altra parte del corpo, la mano, e non è un caso. Mauro Bellucci sembra voler esprimere, mediante pochi tratti, i cinque sensi dell’uomo per giungere alla conclusione che non basta né guardare, né ascoltare, tanto meno sentire per creare un contatto, una “trasmissione”.
Nelle dieci tele presentate in occasione della mostra alla galleria Horti Lamiani Bettivò di Roma, Mauro Bellucci dipinge volti anonimi, ritratti di fantasia in cui ognuno di noi potrebbe rispecchiarsi. In realtà l’artista da vita a persone e personaggi che, consapevolmente o inconsciamente, lo hanno ispirato. Possiamo quindi trovarci di fronte ad un suo “autoritratto” piuttosto che, ad un volto suggerito dalla fumettistica e dall’animazione. L’artista tende a rappresentare ciò che la sua mente e il suo occhio hanno percettivamente catturato, per poi restituirlo al pubblico in una traduzione distorta della realtà.
Pittura Digitale
Le tele di Bellucci potrebbero essere definite da un termine curioso: pittura Digitale, in quanto sono opere che, pur essendo realizzate con smalti ad acqua su tela, tracciano un legame con l’arte digitale per i colori artefatti e per un particolare uso di ombre e luci.
Nei lavori di Bellucci un fattore determinante è infatti l’uso del colore, elemento fondamentale in tutto il suo percorso artistico.
Sono colori puri, mai mischiati: gialli acidi, verdi intensi, rossi accesi intervallati da un uso frequente del nero che tende a smorzare quello che potrebbe apparire un aspetto ludico del colore impiegato. In realtà Bellucci ne fa un uso psicologico e introspettivo, laddove il colore viene adoperato dall’artista col fine di dare immagine (sarebbe meglio dire volto) ad un particolare stato emotivo.
Interlinee
Bellucci manifesta con le sue opere il grave problema dell’incomunicabilità di cui la società globalizzata soffre.
Metaforicamente questo fenomeno viene espresso da un’interlinea che corre lungo le tele. L’interlinea consiste in una riga nera che percorre lo schermo televisivo quando viene avvicinato ad un altro apparecchio tecnologico con una differente frequenza di fotogrammi al secondo. Questo può produrre uno sfarfallio dell’immagine, eliminabile mediante l’uso di un dispositivo interlock.
Nelle opere di Bellucci l’immagine è fin troppo fissa, non compare alcun movimento, alcuna azione. Ciononostante un filo, neanche troppo sottile, percorre il quadro in lunghezza o in larghezza, rivelando l’artificio che caratterizza il mezzo pittorico (così come quello televisivo) e delineando il confine che separa lo spettatore dai personaggi rappresentati.
Ancora una volta, quindi, l’artista si fa carico di un onere estremamente importate: dare vita ad un “dialogo”, surreale ma non impossibile, tra uomo e immagine, una comunicazione alienata e alienante in cui Bellucci è il mediatore.